giovedì 16 ottobre 2014

LA BRAVA GRAVIDA..



Fin da piccoli impariamo delle regole: orari per dormire, orari per i pasti, cosa e quanto mangiare, ecc. . Andiamo a scuola e diventiamo grandi, ad un certo punto siamo adulti, “vaccinati e patentati” più o meno tutti. La nostra vita si fonda su delle regole, e coscientemente o meno seguiamo la strada indicata, perchè la conosciamo, è sicura, senza pericoli né angoli bui, la ragione ci dice di farlo.
Ma venire al mondo ha delle regole? E se sì, le segue? La gravidanza travolge e sconvolge in tutti i sensi. Durante il primo trimestre la donna vive delle emozioni contrastanti: nello stesso giorno può essere felicissima e poi piangere, a volte dubita di farcela (sarò una brava madre?), altre invece è sicurissima e inizia a cercare informazioni. Il secondo trimestre solitamente è una fase di benessere per la donna: le nausee sono sparite, inizia a sentir muovere il bambino, la pancia comincia a vedersi, la spossatezza iniziale è passata, lei si sente viva e piena di energia, lavora molto e a volte “si dimentica” anche di essere incinta. Poi arriva l’ultimo trimestre e si insidia nella donna l’idea del parto. La pancia ora è pesante e alla fine della giornata è stanca, i ritmi rallentano, lei non è più veloce ed efficiente come prima. Dorme profondamente, ma si risveglia spesso, pensa al bambino e a quando lo vedrà. Prepara il nido, la stanza per il piccolo, oppure si ritrova all’ultimo senza aver preparato nulla (non ho ancora comprato nulla per il mio bambino). Vuole vederlo, ma ha paura del parto e magari vorrebbe rimandarlo, oppure vuole partorire il prima possibile (non ce la faccio più, spero che nasca presto).
Durante tutta la gravidanza lei è stata diligente, una brava gravida, ha fatto tutto quello che le è stato detto: tutti gli esami, tutte le ecografie, tutte le visite, ha preso tutti gli integratori, anche quelli più difficili da mandare giù. Gli omega3 non li digeriva e il ferro le procurava la diarrea, il multivitaminico, l’acido folico, i fermenti lattici (per prevenire le coliche del neonato) e l’apermus (va tanto di moda, lo prendono tutti, è omeopatico, quindi male non fa!). Lei fa tutto, perchè così le hanno detto e lei si fida, si affida, anzi non da solo la sua fiducia, delega consapevolmente o meno le decisioni e le responsabilità della propria gravidanza e del parto.
Le hanno detto che la testa del bambino è grande (ci passerà???), che le contrazioni sono insopportabili, per cui le consigliano di fare l’epidurale, che donare il sangue cordonale è un gesto bello e altruista, per cui fa i colloqui necessari e firma. Firma perchè informata. Le dicono che è meglio non aspettare tanto per far nascere il bambino. Allora firma per il ricovero e l’induzione, perchè informata. Le contrazioni arrivano all’improvviso, sono forti, violente, non le lasciano il respiro. Il suo corpo vuole scappare, fuggire da quest’attentato, ma non può. Firma per l’epidurale, ora sta meglio e riesce a riposarsi un pochino.
Poi qualcuno le dice che è il momento di spingere, il travaglio è andato avanti molto velocemente. Lei non sente nulla, però spinge (spingere cosa?come?dove?). Non lo sa, ma fa quello che le dicono. Adesso è in sala parto, sul famoso lettino, quando il monitor rileva la contrazione, lei prende aria dal naso, trattiene il respiro e spinge, come le hanno insegnato. Le dicono che non spinge bene e il suo bambino non scende. Allora spinge di più, con tutta la sua forza (devi spingere bene se vuoi che nasca!) e qualcuno mette un braccio sulla sua pancia e spinge il bambino insieme a lei, per aiutarla. Un’altra persona prende le forbici e taglia mentre lei spinge (per l’episiotomia non ha firmato…). Finalmente nasce il suo bambino, lei è stremata ma felice, vorrebbe toccarlo, prenderlo tra le braccia. Non si può, tagliano subito il cordone e consegnano il bambino a un altro gruppo di persone che era già lì ad aspettare. Il sangue raccolto dal cordone non è sufficiente, quindi non può donarlo (e neppure al suo bambino ormai). Le palpano forte la pancia per far uscire la placenta, ma non succede nulla, per cui dopo un po’ la devono addormentare per toglierla. In seguito suturano l’episiotomia e la lacerazione spontanea che ha avuto. La svegliano e la portano nella sua stanza, il suo bambino non c’è. E’ nella culla termica, c’è stato un altro parto e ora sono occupati, glielo portano più tardi.
Deve andare in bagno, allora si alza dal letto aiutata da una giovane ragazza. Le sembra di cadere, le gambe non la reggono molto e ha una sensazione di pesantezza al basso ventre, dove ha i punti. Finalmente arriva in bagno, la ragazza le dice di chiamarla quando ha finito, intanto aspetta fuori dalla porta. Lei cerca di urinare ma non riesce. Le viene solo da piangere. Piange, sola, in bagno. E’ distrutta, è così brutto partorire, è così devastante e faticoso… E’ così lungo e doloroso… E’ tagliata, lacerata… Vorrebbe soltanto il suo bambino… La ragazza bussa, entra piano, senza dir nulla la aiuta a tornare a letto e chiude la porta della stanza. Si avvicina a lei e le chiede come sta, nessuno glielo aveva mai chiesto. Lei non sa cosa rispondere, racconta il suo parto alla ragazza che le sembra gentile. Alla fine la ragazza le chiede “tu cosa ne pensi?”. Anche questo nessuno glielo aveva mai chiesto. Nessuno le aveva spiegato il perchè delle scelte o le aveva chiesto se lei fosse d’accordo, lei si era fidata e basta, era stata brava, aveva firmato il consenso informato. Risponde alla ragazza “non lo so, pensavo fosse normale così”.
Siamo informate davvero? Ci siamo affidati, abbiamo delegato, abbiamo dato a qualcuno ilpotere di decidere, di scegliere cos’è meglio per noi e per il nostro bambino. Abbiamo seguito la strada tracciata, non ci siamo fermati a pensare, a chiedere, ad ascoltare cosa ci diceva il nostro corpo e il nostro bambino. Abbiamo seguito le regole e siamo state brave.

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